Alla vigilia del rapporto sui SAPR che domani ENAC illustrerà al Roma Drone Campus, Assorpas fa il punto della situazione a 360 gradi sul comparto italiano dei droni ad uso professionale.
Un altro anno è passato e proviamo a fare una fotografia dello stato di fatto del comparto aeromobili a pilotaggio remoto sotto i 25 kg in Italia. Andiamo per punti.
Conoscenza delle regole e abusivismo
Nella sua azione, ENAC è partita dal presupposto che il nostro settore fosse
sostanzialmente assimilabile a quello dell'aviazione civile, dove tutti gli
attori hanno competenze aeronautiche approfondite, anche se in ambiti
diversi. Nell’aviazione civile, gli utenti che usufruiscono dei servizi
offerti (ad esempio i viaggiatori) non sono tenuti a conoscere la normativa
aeronautica ma, una volta bordo degli aeromobili, devono semplicemente osservare
poche e chiare regole di sicurezze. Inoltre, quando una Compagnia aerea (un
Operatore) acquista da un costruttore un aeromobile (come un Airbus A320) sa
bene quello che fa ed è pienamente consapevole di tutti i risvolti normativi.
Diversamente, i nostri “aeromobili” si possono acquistare anche al
supermercato, possono entrarne in possesso non solo i professionisti, ma
soprattutto e sempre più spesso, famiglie, ragazzi e bambini che di regolamenti
aeronautici non sanno nulla. Non solo, anche i potenziali committenti non studiano (e non sono tenuti a
farlo) la normativa aeronautica. Ne consegue che chi redige ed emana i
regolamenti deve avere la capacità di rivolgersi non solo agli addetti ai lavori
ma, vista la distribuzione di massa di questa tecnologia, deve anche farne
comunicazione diffusa, da tutti comprensibile.
“Bisogna avere la capacità di spiegare in modo semplice cose complicate”
La metodologia adottata da ENAC di comunicare solo tramite regolamenti e LG
tecniche per i soli addetti ai lavori, nel nostro caso purtroppo non è
sufficiente. Visto che questi "aeromobili" sono venduti ovunque, ENAC deve fare
comunicazione di massa, deve assumersi la responsabilità di informare le masse
sui loro limiti d'uso, attraverso infografiche, spot di comunicazione
istituzionali, informative nei punti vendita e tutto quanto necessario ad
informare gli utilizzatori degli APR. Senza delegare questo compito alle
associazioni.
Per lo stesso motivo, gli organi di pubblica sicurezza deputati al controllo
devono essere adeguatamente formati e informati per essere in grado di
intervenire, anche e soprattutto preventivamente, senza aspettare futuribili
tecnologie di là da venire. Oggi è già possibile con estrema semplicità
(basterebbe l’ennesima App) prevenire comportamenti illegali che possono mettere
a rischio la pubblica incolumità senza rinvii di alcun genere, salvaguardando
così chi si sforza di operare nella legalità. Basterebbe implementare quanto
ENAC già annuncia ormai da più di un anno (Chip e sviluppi con ENAV, tavoli
tecnici con la Polizia di Stato) senza poi portarlo a compimento.
Forme di semplificazione vanno anche necessariamente applicate
all’individuazione di quanti hanno i requisiti necessari ad operare
professionalmente. Il sito ENAC è nato per essere consultato dagli addetti ai
lavori ma altri utenti, come i potenziali committenti, hanno seri problemi ad
individuare le pagine web contenenti le informazioni sugli operatori
autorizzati. Non solo, facendo delle ricerche in rete si viene spesso
indirizzati a pagine obsolete (ma ancora attive), a documenti in PDF in alcuni
casi non più aggiornati e a dei database di difficile consultazione. In sostanza
una situazione caotica dove anche gli addetti ai lavori hanno difficoltà e in
cui un normale utente non riesce a capire con la necessaria immediatezza se il
professionista al quale vuole affidare un incarico abbia o meno i requisiti
necessari.
Regolamentazione 1: modulistica e documenti attuativi
ENAC a partire dal mese di Settembre 2016, sta rilasciando autorizzazioni
basate su quelli che vengono definiti "Scenari Standard". Degli "Scenari
Standard” non c’è traccia nella regolamentazione vigente e tantomeno nei moduli
di richiesta da inviare all’Ente. A quanti fanno domanda per operazioni
critiche, l’autorizzazione ad operare in scenari standard viene concessa “ad
insaputa del richiedente”. Insomma, gli Scenari Standard sono contesti operativi
non esplicitamente regolamentati, applicati in via sperimentale a domande
convenzionali. Il richiedente si trova di fronte ad una decisione unilaterale
dell’ENAC. Paradossalmente ENAC, dopo averli applicati per mesi, chieda oggi
alle associazioni di commentarne le “bozze”.
Problemi analoghi (modulistica inadeguata) riguardano i piloti. I
moduli per le domande di autorizzazione richiedono ancora di specificare i
nominativi dei piloti abilitati all’uso di uno specifico APR. In realtà, la
regole ENAC non prevedono più questa necessità, poiché oggi i piloti sono muniti
di un attestato slegato da un mezzo specifico ma valido per una determinata
combinazione classe/categoria.
A gennaio 2017 ENAC ha rilasciato le attese Linee Guida sull’analisi del
rischio. I parametri adottati per il calcolo si basano sulla stima delle
“densità di popolazione” e della “probabilità di caduta” valori non sempre
determinabili in maniera certa alla scala di azione di un APR. Secondo molti il
modello adottato è superato, poco affidabile e non adatto agli APR.
“Ad oggi gli unici danneggiati dal Regolamento APR sono coloro che lo rispettano”
Visto quanto sopra ci si chiede:
- invece di dedicare tempo a redigere gli ennesimi documenti attuativi non
sarebbe il caso di dedicarlo a fare ordine nel caos?
- se i Regolamenti fossero scritti in maniera chiara e senza lasciar spazio
ad una eccessiva libertà di interpretazione, non sarebbe possibile ridurre in
maniera drastica la quantità di Circolari e Linee Guida?
Regolamentazione 2: gli standard per i costruttori
Parliamo ora di costruttori. In principio la parola d’ordine fu
10-6, un parametro relativo all’affidabilità dei sistemi aerei
raggiunto dopo oltre un secolo di storia dell’aviazione che si è ritenuto utile
applicare a un settore giovane, poco conosciuto e dai contorni non convenzionali
sotto il profilo aeronautico. Poi, a valle di una serie di intersezioni con la
vicenda EUROCAE (vedi sotto) il 10-6 è sparito dai documenti.
Risultato? Le aziende che hanno seguito ENAC in questo percorso hanno subito
ingenti perdite di investimenti e in alcuni casi sono fallite.
Al 10-6 segue l’EUROCAE ED12. ENAC sosteneva che per volare
sui centri abitati fosse necessario raggiungere questo standard di affidabilità.
Vista l’esperienza precedente, nessuno ha seguito l’Ente su questa strada. Il
motivo è semplice: perché spendere cifre a sei zeri per la progettazione di
sistemi EUROCAE (che avrebbero dovuto necessariamente essere messi in commercio
a cifre da capogiro) quando nel mondo reale sulle città volano tutti, in assenza
di qualunque forma di controllo?
Passiamo all’APR da 300 g (poi trasformatosi in 300 g con paraeliche),
una forzatura italiana fatta mentre tutta la comunità internazionale si
orientava sui 250 g. Che ne è stato di quanti hanno investito sui leggerissimi
inoffensivi?
Chiudiamo con le “certificazioni di progetto”, oramai concesse anche a
economici assemblati di provenienza cinese. Ma per quale motivo un produttore di APR dovrebbe investire in Italia? Quale
visione, quale coerenza di progetto è sottesa da questa successione di eventi?
Oggi il settore si trova in una situazione a dir poco surreale. ENAC redige
Regolamenti ma nessuno si preoccupa di verificarne l’applicazione. Sia gli
organi dello Stato deputati al controllo che la stessa ENAC non riescono ad
attivarsi, anche in presenza di segnalazione diretta. Alcuni importanti principi annunciati in passato non hanno trovato
applicazione. È il caso del profilo etico degli operatori. Oggi ci si preoccupa
di analizzare nel dettaglio l’idoneità medica dei “Piloti” ma si autorizzano ad
operazioni critiche persone/organizzazioni che, notoriamente hanno operato fuori
dalle regole. Vengono riconosciute come Centro di Addestramento organizzazioni
che fino a “ieri” hanno venduto corsi e attestati senza validità ai fini del
regolamento. È questa la conoscenza che ENAC ha della situazione italiana?
“Qualsiasi Regolamento, in assenza di controllo sulla sua applicazione, è del tutto inefficace”
Si ha la netta sensazione che ENAC stia prendendo tempo per traghettarci fino
all’entrata in vigore della regolamentazione europea (EASA), ma lo sta facendo
in un mare in tempesta e pieno di insidie dove pochi saranno in grado di
sopravvivere. Stando così le cose, ci arriveremo con un mercato interno
professionalmente distrutto. Invece quello che ci si aspetterebbe da un sistema paese (nel nostro caso
Autorità Aeronautica e operatori), è il rapido raggiungimento del miglior
combinato regolamentare e attuativo, con elementi che possano essere adottati a
livello europeo (e la conseguente generazione di immediati vantaggi per la
comunità italiana una volta che lo scenario EASA sua divenuto realtà).
Mercato e Politica
Va detto che le condizioni attuali di questo mercato sono già poco
promettenti. Gli operatori abusivi non pongono alcun ostacolo alla fattibilità delle
operazioni e praticano politiche di prezzo insostenibili per chi segue le
regole. Spesso ai prezzi stracciati si associano lavori mal fatti. Il ritorno è
una perdita complessiva di credibilità.
La qualità delle commesse è comunque mediamente bassa. Mancano quelle
significative sotto il profilo tecnico e/o economico. I grandi committenti non
si affidano agli operatori nazionali, semmai li coinvolgono in test di
fattibilità per lo più gratuiti per valutare l’inserimento degli APR nel loro
flusso di lavoro e acquisire le conoscenze necessarie a realizzarlo in proprio.
Quando questo non è possibile, quando il gioco si fa serio, ci si rivolge agli
operatori stranieri.
Altrove infatti gli APR sono già considerati uno strumento di lavoro e sono
pienamente inseriti in alcuni processi produttivi (si pensi alle ispezioni
industriali). In quello stesso altrove gli operatori APR hanno potuto maturare,
grazie a politiche industriali e strutture normative adeguate, le esperienze
necessarie a costruire profili aziendali competitivi in campo internazionale.
Cioè utili per lavorare da noi. È quindi un serpente che si morde la coda, una retroazione negativa che porta
inevitabilmente alla marginalizzazione delle aziende italiane? Esiste una via
d’uscita?
Che le nostre imprese siano marginalizzate in patria è un fatto
incontestabile, ma la responsabilità è generale e coinvolge tutti. È certamente un dato che in Italia non ci siano state politiche finalizzate
allo sviluppo del comparto APR. Fino a pochi giorni fa, nessuna grande azienda
ha affidato una commessa importante ad un operatore nazionale, né sono stati
messi in campo incentivi che rendessero conveniente farlo.
“La Politica si è dimenticata del comparto APR anzi, probabilmente non lo ha mai preso seriamente in considerazione”
Per le imprese del settore APR, a tre anni dalla prima entrata in vigore
della regolamentazione tecnica, ancora non esiste:
- un quadro normativo stabile e definito (sono ben due le proposte di legge
presentate alla Camera),
- un regime fiscale adeguato e l'inclusione nell'Industria 4.0,
- un codice di attività,
- una legislazione del lavoro specifica che consenta di
inquadrare senza possibilità di controversie le figure professionali coinvolte.
Imprese e Associazioni
In questo quadro, una parte di responsabilità è da
imputarsi anche alle aziende che lavorano con gli APR e che in Italia sono oltre
2000. Siamo piccoli e incapaci di agire alla scala giusta. Soprattutto non
riusciamo a darci obiettivi comuni. Siamo, come si dice spesso abusando,
incapaci di fare sistema. Si avverte la mancanza dell’impulso di quelle aziende
che, tra le 2000, sono le più importanti e strutturate. L’esempio dell’associazionismo è illuminante. In Italia esistono almeno 4
associazioni di settore. Di queste solo una parte ha numeri tali da ambire a
rappresentare qualcuno e, in ogni caso, tutte le associazioni messe assieme
coprono meno del 10% del bacino di riferimento.
Sembra strano che questo avvenga in un paese che ha vissuto la storia sin qui
raccontata. Ancora più strano è il confronto tra i numeri delle associazioni e
quelli dei social (con gruppi di discussione cui partecipano alcune migliaia di
utenti) o il giudizio sulle motivazioni di chi lavora nelle associazioni. In
questo caso si oscilla tra l’estremo altruismo (leggasi ingenuità) e la losca
difesa degli interessi dei poteri forti nazionali (notoriamente attentissimi al
nostro lavoro e ai nostri fatturati).
Nessuno, nemmeno quanti firmano periodicamente illuminanti articoli o le
intelligenze che sempre sanno cosa è giusto fare, racconta un’associazione per
quello che realmente è: il luogo dove le persone lavorano assieme per difendere
i propri interessi. Non un luogo mera di delega o difesa di interessi
particolari, ma uno strumento da usare. Partecipando. Ora, prima che sia davvero
troppo tardi. Altrimenti, liberi tutti.
[Articolo a cura di ASSORPAS, l'Associazione Italiana per i Light RPAS ]
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